ATELIER DEL RACCONTO

COME TUTTI I FIGLI, COME TUTTE LE MADRI

Probabilmente lo cercheranno per sempre quel perché mi hai abbandonato. Facilmente come i cercatori d’oro penseranno di averlo trovato nelle mille storie che incroceranno vivendo, tutte diverse e tutte uguali. Ma come il cercatore d’oro, continueranno a seguire il graffio che dà l’emozione di leggere la loro storia, quella che nessuno si è preso la briga di scrivere per loro.

E questi sono i figli adottivi. Quelli che con una foga ancora maggiore grideranno a una loro madre che deve stare dalla loro parte . E sottolineeranno “sempre”, perché quel sempre sarà la seconda cosa che continueranno a cercare affrontando la quotidiana paura di perderla di nuovo quella parola. Semplice vocabolo che ti fa appartenere a qualcuno nascendo. Ma per loro no. Non è andata così. Per loro non è andata così.

Che poi questi sono i figli! Tutti ugualmente cercatori d’oro. Avidi di quel senso di appartenenza che difende, tutela,  rincuora. Alla ricerca di un perché per tutta la vita. Bramosi di un Per sempre nelle diverse situazioni che la vita presenterà loro. 

E poi ci sono le madri. Quelle che si improvvisano ogni giorno. Che devono cercare la risposta giusta spesso nello stesso momento in cui stanno rispondendo. Quelle per cui osare è diventato esercizio quotidiano. Perché non possono permettersi di sostare più di tanto su una domanda o su una risposta..ccia. Quelle che non si perdono in parole perché troppo impegnate a vivere dimostrando, e lasciano andare le parole nella foga di spiegare la vita, nella speranza, spesso vana,  di fare uno sgambetto al male, sottraendo occasioni, anticipandone l’agguato.

Meraviglioso  questo incontro che si fa incanto tutte le volte in cui c’è un figlio che scappa perché si sente incalzato da una madre che arresta la corsa. Tutte le volte in cui l’imperativo categorico di una madre è osservare un panorama, mentre al figlio gli pare sabbia mobile il terreno che sta bruciando nella corsa.

Perché i figli non lo sanno. Si pensano ostaggi di una madre,  che cerca di preparare il terreno più favorevole  per permettere loro di spiccare il volo. E lei a cercare l’angolo che ospiterà lei e il suo pianto silenzioso.

Si sentiranno ostacolati da quella nemica, a piacimento amica. Ma unica mano tesa a tirarli fuori dalle sabbie mobili in cui si sono infilati durante una delle tante folli corse della vita.     

Fin qui tutto vero. Tutto ordinario.

Ai figli adottivi però si chiede di più, forse tanto, a volte troppo. Si chiede di credere, di avere fiducia, si chiede una cosa  che non hanno conosciuto nascendo da quella madre alla quale la vita ha dato motivi per scordare la natura, e perdendo questa, ha iniziato una sopravvivenza lontana dalla cosa più bella che è dato in dono a una madre: smettere di vivere solo per se stessa per  vivere il cambiamento del “noi”.

E’ vero. Una madre chiede troppo presto ai figli. Di riconoscere l’amore. Quello assoluto. Quello che si presenta quando l’amore non lo cerchi fuori ma ti capita dento, a volte senza bussare, altre dopo infinite preghiere, quando hai smesso di sentire qualsiasi rumore di te e del tuo corpo che proprio non risponde al richiamo, al richiamo del “noi in un solo corpo”.

Se adottiva,   farà la fatica di accettare le trasformazioni di un corpo senza noi. Faticherà a cercare un senso e troverà sollievo quando capirà che non c’è quel senso. Ma ci sono figli che aspettano una seconda possibilità di sentirsi parte, di trovare sicurezza e la persona con cui affrontare quella paura. La loro mamma.

È vero, se adottivo, un figlio proverà più fatiche:  dell’assenza di una della loro madri, che non abbatterà quella solitudine in cui l’ha lasciato nascendo; dell’adattamento a  vivere come diversamente abile alla vita, come chi graziato dal dolore della morte  rimane andicappato di un male oscuro, ché ti ha aggredito prima che qualcuno  te l’ha voluto o potuto raccontare.

Ma come tutti i figli  cercheranno ovunque la faccia di quel male, come di tutti i mali che si presenteranno vivendo. Sono le occasioni in cui si dimenticheranno il bene. Si, tutto quel bene che riceveranno. Perché come per tutti i figli, sarà difficile trovare quella tregua. In cui il male si placa e lascia spazio al bene.

Il male ammalia, come una coperta ti sta intorno, addosso, si vende compagno, quasi amico, sostituto di tutte le tue solitudini. Il bene invece quando capita abbaglia. Ti costringe le mani sugli occhi, ti sorprende. Il bene è una vertigine da affrontare a viso scoperto. E’ per i coraggiosi, per i curiosi, per chi non si crogiola nel tradimento. È per chi lo supera  scegliendo di vivere l’esperienza di amare, e amare non ha un solo indirizzo. Amare è ovunque.  

Perché il bene non ti sta addosso, ma intorno. E sai cosa significa intorno? Significa oltre, significa proprio in tutti quei posti che il cercatore d’oro ha bisogno di esplorare per trovare l’oro.

Sta proprio lì il bene. Sta davanti ai tuoi occhi ogni giorno. E’ quel sole che sorge ogni giorno in baffo alle nuvole. E per un figlio adottivo, sta in quella madre che per tutta la vita altri penseranno e ti faranno pensare essere l’ “altra”, quando invece dal primo momento che ti prenderà tra le braccia spenderà tutta la sua vita per te e per questa capacità di amore, sarà l’unica. Ti farà provare l’unicità. Perchè da quel momento tu sarai l’ “unico”. Unico nella vita di un altro, e vivrai quel Noi che si crea in unico corpo, che mai ti lascerà mai più solo.